Visiera corta, taglio morbido o geometrico: il cappellino militare torna in servizio, non solo con la classica stampa mimetica, ma anche reinterpretato in chiave contemporanea con Vichy, righe e tonalità accese. Un accessorio impregnato di storia ma che attraversa generazioni, epoche e tendenze senza perdere il suo fascino. Focus su un evergreen che continua a guadagnare in popolarità.
Breve storia del berretto militare
Per ritrovare le prime tracce del berretto militare dobbiamo risalire al XIX secolo, quando inizia a diffondersi nei ranghi dell’esercito. Nato come accessorio per i soldati delle classi popolari, conquista rapidamente anche i gradi più alti, stanchi dei copricapi rigidi e ingombranti come lo shako o il kepì.
Con il suo design semplice e pratico e il tessuto morbido che permette di piegarlo facilmente e infilarlo in tasca, si impone come alternativa utile e pratica. La sua forma si adatta alle diverse zone geografiche, ai ranghi e alle condizioni operative.
In Francia il modello più diffuso è un ibrido tra il 69 – il modello standard dell’esercito – e il modello F1, entrambi pensati per le operazioni sul campo. I militari lo soprannominano “cappello dei puniti”ed è anche conosciuto come “cappello da lavoro” o “cappello da meccanico”.
Dalle caserme alle piazze, il berretto si diffonde tra i civili e si carica di valore politico: viene adottato dai regimi comunisti come accessorio di uniforme. In Cina, a Cuba e nell’URSS si veste di kaki e della celebre stella rossa. È così che la sua forza simbolica alimenta un’aura leggendaria, legata a un immaginario ideologico potente.
Una rilettura fashion
Dalle trincee alle passerelle è un attimo. Oggi il berretto militare torna sulle scene della moda e ormai lo ritroviamo nelle sfilate e nei guardaroba più glam.


Prendiamo ad esempio la sfilata Louis Vuitton Uomo SS 2024 immaginata da Pharrell Williams. L’artista e direttore creativo reinterpreta il camouflage in chiave neo-grafica, più urbana che bellica. L’anima di questa visione è racchiusa in un berretto ibrido tra la gavroche parigina e il copricapo militare, confermando che l’accessorio ha conservato intatto il suo potere evocativo. Non solo: diventa un pezzo faro della collezione, sospeso tra cultura popolare e immaginario guerriero.



La content creator francese Zoé Guyot sfoggia regolarmente il berretto militare, personalizzandolo con righe, colori e pins — senza dimenticare la stella rossa. Lo abbina a capi streetwear come Converse, giacche Carhartt e pantaloni ampi, mixando influenze militari, workwear e stile urban.
Military fever
Il berretto militare non è un caso isolato. Il suo ritorno si inserisce in una tendenza più ampia: la riappropriazione dell’abbigliamento militare nella moda contemporanea. Giubbotti da aviatore, cargo, parka: capi un tempo legati al campo di battaglia che oggi si confondono con il quotidiano.
Una tendenza che testimonia un’evoluzione: i capi d’abbigliamento militari hanno progressivamente perso la loro connotazione bellica per assumere un significato completamente nuovo. Il kaki non evoca più l’autorità, ma rima con utilità. La stampa mimetica non serve a sparire, ma a distinguersi e ad affermarsi nello spazio urbano.



Dietro questa banalizzazione si nasconde una realtà più complessa: la crescente militarizzazione del mondo. La moda reagisce appropriandosi di questi simboli e di reinventarli. Indossare un berretto da soldato diventa così un atto paradossale: un espediente per trasformare un oggetto nato per la guerra in un manifesto di pace. Il military wear si reinventa per vestire i corpi civili in cerca di riconoscimento, identità e resistenza.
Dalla caserma ai catwalk, il berretto militare prova che non è solo un accessorio pratico. È un emblema funzionale, un portaparola politico, un simbolo della moda, un portavoce militante. In ogni caso continua a vivere e reinventarsi e che, per come è partita, non ha finito di far parlare di sé.