Da quando è stata annunciata la sua nomina alla direzione artistica di Dior Donna, tutti aspettavano con impazienza la sua prima collezione! Quel momento è finalmente arrivato. Già alla guida della linea uomo, Jonathan Anderson diventa il primo stilista, dopo lo stesso Christian Dior, a firmare entrambe le linee. Un segnale potente da parte della Maison, che affida a una mente creativa e audace la scrittura di una nuova pagina nella sua storia. E chi, se non Jonathan Anderson, poteva raccogliere una sfida così ambiziosa?
Jonathan Anderson e l’arte del teasing


Nei giorni che hanno preceduto lo show, lo stilista ha dato un primo assaggio dell’approccio che avrebbe caratterizzato la collezione a cominciare dagli inviti, trasformati in piatti di porcellana contenenti tre uova in ceramica. Il tono è dato: un’atmosfera giocosa, sorprendente, fuori dagli schemi. Ovviamente i piatti sono già pezzi da collezione. Una serie di indizi disseminati sui social – dal ritratto di Jean-Michel Basquiat firmato Andy Warhol a quello di Lee Radziwill, passando per le reinterpretazioni letterarie della borsa Book Tote e una nuova campagna con Kylian Mbappé, ambasciatore del marchio – ha contribuito a costruire un universo ricco di riferimenti visivi e culturali. Un messaggio chiaro: Jonathan Anderson ha scelto di esplorare, rimescolare e riattivare gli emblemi della Maison con uno sguardo libero e personale. E per farlo, è tornato alle radici della Maison.
La prima collezione? Un successo, evidentemente
È nel decoro solenne dell’Hôtel national des Invalides che Jonathan Anderson ha presentato la sua prima collezione uomo per Dior. Un dialogo tra passato e presente, che riflette in una collezione fatta di 67 look, frammenti che raccontano il passato della Maison e ne proiettano il futuro.



Già dal primo look le intenzioni sono chiare: la giacca Bar, capo iconico del guardaroba femminile e simbolo assoluto del New Look, viene reinterpretata da Anderson in chiave contemporanea, abbinata a bermuda ampi e destrutturati, con un gioco di volumi che richiama apertamente l’estetica Loewe.
Il look 20 presenta un jeans grezzo e baggy attraversato da una cucitura diagonale sulla gamba abbinato a un gilet da abito cropped, giocando con l’equilibrio tra eleganza e stile casual. Il look successivo riprende la stessa composizione, ma con una palette più chiara, come un negativo fotografico.



La collezione pullula di dettagli audaci: papillon indossati a pelle, gilet leggeri, cravatte annodate al contrario… Anderson disegna i contorni di un nuovo uomo Dior, un uomo che non aspettiamo, perché non è il classico eroe, ma piuttosto un anti-eroe letterario: uno che rovista, che legge, che sogna. Un dandy stanco o un ragazzo d’altri tempi — a seconda dello sguardo.
Tra un outfit e l’altro fiorano accenni di teatralità, come nella cappa oversize che ricorda un maglione XXL e suggerisce una figura quasi vampiresca. Altrove lo stile si fa ibrido: una jumpsuit bianca con bottoni abbinata a sandali da pescatore in suede — una versione luxury delle iconiche “meduse”. Più avanti, una giacca da ufficiale dialoga con sneakers ispirate allo skate. L’uomo Dior secondo Anderson non ha età né epoca: viaggia tra i generi, le memorie e gli immaginari.
Una sfilata seguita persino nei bar
Mentre alcuni ospiti, tutti accuratamente selezionati, ricevono l’esclusivo piatto in porcellana, altri si creano i propri momenti. Su iniziativa del content creator @Lyas — palmesemente snobbato questa stagione dopo essere stato invitato durante l’era di Maria Grazia Chiuri — è stato improvvisato un watch party in un bar del 10° arrondissement di Parigi. Un raduno spontaneo di appassionati e curiosi per seguire la sfilata in diretta in un’atmosfera informale.
Un momento collettivo, forse improvvisato ma partecipativo, che incarna alla perfezione ciò che Jonathan Anderson sta portando oggi da Dior: il desiderio di una moda che si spinge oltre i confini dei circoli elitari, capace di generare entusiasmo condiviso, tanto tra gli addetti ai lavori quanto tra gli appassionati. Il talento nordirlandese sa cogliere lo spirito del tempo con la stessa naturalezza con cui recupera riferimenti dimenticati intrecciando eredità e presente. Ma al di là di far dialogare il passato della maison con il presente, Anderson vi imprime la propria storia e il proprio linguaggio. Il tutto con una disinvoltura che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la nuova era Dior è già iniziata — e porta la firma tanto del suo creatore quanto del suo fondatore.
Articolo di Julie Boone.