A Londra, la moda non è mai solo questione di tendenze. Anche questa stagione, le passerelle hanno portato in scena non soltanto abiti, ma storie che parlano di identità, cultura e cambiamento. Ecco cinque visioni singolari che hanno lasciato il segno.
Conner Ives, quando la pop culture incontra l’upcycling
Conner Ives fece un ingresso clamoroso nel mondo della moda quando, ancora studente, vestì Adwoa Aboah per il Met Gala. Questa stagione torna a far vibrare i podi con la sua collezione On Pop, accompagnata dallo slogan: «Pop music will never be low brow».



Un omaggio coloratissimo alla cultura pop e alle icone degli anni ‘80. In passerella: colori flashy — verde mela, fucsia, arancione neon — abbinati a collant modellanti, maxi occhiali, frange stile pareo e abiti effetto squame di pesce. Nel finale, lo stilista stesso sale in passerella, circondato dalle sue modelle, tra cui Iris Law e Osman Ahmed, indossando una t-shirt dedicata a Lady Gaga, regina indiscussa del pop.
L’upcycling resta il filo conduttore della sua ricerca, a conferma di un impegno eco-responsabile che non si limita all’estetica.
Ashley Williams e il provincial chic
Le intenzioni di Ashley Williams erano chiare già dalla lettera di intenti: «What if hometown provincials deserve fashion too?». Detto fatto, questa collezione la designer ci ha trascinato in un ricordo collettivo: quello dell’infanzia trascorsa in provincia.



La collezione riprende i codici del guardaroba della nonna: bluse a fiori, scarpe ortopediche trasformate in ugly shoes ibride con tacco, camicie da notte con volant. Un’estetica familiare, ironicamente kitsch e volutamente grossolana. Abbondano gli accessori dissacranti: rotoli di carta igienica trasformati in bracciali XXL, lacci di scarpe usati come cinture, parrucche grigie cotonate e cerotti sulle ginocchia.
Un gatto stampato su un body, mini cornici infilate nelle tasche e slogan ironici come «I Love Me» ci proiettano in un universo infantile. Una visione kitsch, massimalista, e volutamente provocatorio, che trova continuità nella collaborazione con il marchio di gioielli Yvmin.
Ashish: tra danza, paillettes e protesta
Ashish non ha mai nascosto il suo gusto per i messaggi politici. Nella scorsa London Fashion Week, alternativa perché non ufficiale, aveva trasformato un lunedì mattina in un happening militante. Questa volta, in un contesto più ufficiale, prosegue la sua dichiarazione eliminando le modelle per portare sul catwalk dei ballerini: i capi prendono vita nel movimento, non nella camminata. Un modo per ricordare che l’abito non è una costrizione, ma un’estensione del corpo.


La collezione rimane fedele all’estetica del brand: colori accesi, paillettes, balze, e t-shirt con slogan pungenti come «Wow, what a shit show» o «Not in the mood». Una collezione che esprime gioia e si impone come manifesto di protesta, dimostrando come la moda possa essere allo stesso tempo spettacolo e tribuna.
Simone Rocha: tra innocenza e metamorfosi
Simone Rocha trasforma la sfilata in un momento di esplorazione del passaggio dall’adolescenza all’età adulta. E per farlo si ispira ai rallies — i balli d’esordio dell’alta società. La designer immagina un’eroina inizialmente goffa: spalline che scivolano, un cuscino stretto al petto, fiori imprigionati nei tessuti o stampati sui capi.


Le silhouette giocano con i volumi: prima le crinoline lasciate volutamente a vista sotto i veli trasparenti, poi le spalle che si ampliano. Una metamorfosi che segna il passaggio all’affermazione di sé.
Nero, rosso e rosa si intrecciano, ravvivati da accenti di verde, quasi a evocare una nuova fioritura. Accessori come corone, guanti in rete con paillettes, fiocchi discreti e scarpe gioiello completano questo racconto di trasformazione e autoaffermazione.
L’armatura di Dilara Findikoglu
Con «Cage of Innocence», Dilara Findikoglu, diplomata alla Central Saint Martins, trasmette un messaggio potente attraverso una serie di ritratti ibridi tra epoche e generi: nonostante i vincoli fisici, sociali e mentali, le donne hanno sempre trovato la forza di combattere.



Il corsetto, simbolo di oppressione, è onnipresente, ma reinterpretato con accessori metallici che richiamano la cotta di maglia medievale, suggerendo non più la sottomissione, ma la preparazione alla lotta.
La collezione, sospesa tra gotico e vittoriano, si apre a nuove prospettive grazie a una palette di rossi, bianchi e beige, allontanandosi dal nero dominante delle precedenti stagioni. Un’estetica ancora radicale, ma resa più accessibile, senza però perdere la sua potenza simbolica.
Articolo di Julie Boone